sabato 18 maggio 2013

Benvenuto a bordo

Il tenente generale Videla fu nominato Comandante in capo dell'esercito dalla presidente Isabelita Perón da lui deposta durante il colpo di stato del '76, anno in cui iniziò a diffondersi in Argentina la famosa locuzione: "E cazzo però!".
Con il golpe ebbe inizio quello che i protagonisti stessi chiamarono "Processo di Riorganizzazione Nazionale": un procedimento di epurazione crudele e dolorosa che storicamente si verifica come conseguenza estrema ad un'insistente richiesta di riordinare la stanza.
L'insediamento della Giunta militare portò alla sospensione delle libertà civili e sindacali, e ad un forte sentimento di emulazione nel cuore di Marchionne.

Accusato tra l'altro di furto di neonati, tolti alle famiglie dei dissidenti per essere affidati a coppie vicine al regime, Videla non fu mai veramente compreso fino al grande successo di "Tata Francesca".
In carcere per due condanne all'ergastolo e una a 50 anni per crimini contro l'umanità, il Generale non avrà purtroppo più modo di utilizzare i bollini accumulati.
Videla fu accusato dell'assassinio e la tortura di oltre 30.000 persone ma lui ne ammise solo 7-8000, per gli altri però ha una storiella molto molto buffa.
Tante delle vittime del regime rimasero "scomparse" senza che mai si riuscisse conoscere la loro sorte: una realtà senza dubbio terribile, seconda solo a quella di buona parte dell'elettorato Pd.

Per tentare di migliorare la propria immagine, nel 1976 Videla fu protagonista di un pranzo con un gruppo di intellettuali argentini in cui alcuni dei presenti manifestarono la loro preoccupazione riguardo agli scrittori detenuti o scomparsi. I soliti egoisti.
La vittoria del campionato mondiale di calcio 1978 fu lo scenario ideale con cui la dittatura tentò di guadagnare l'appoggio popolare. Ora ci si accontenta di uno scudetto.

martedì 7 maggio 2013

Belzefu

Muore il "Divo" Giulio, appena oltre i fatidici 27. Risale ai primi anni di impegno politico il motto che contraddistinse l'operato di Andreotti attraverso la sua lunga vita di abile statista: "Mafia? Quale mafia?"

La notizia è talmente scioccante e ci giunge in un momento di tale difficoltà politica ed economica che i meglio informati sostengono che in realtà Andreotti non sia affatto morto: è molto più probabile che lo siamo tutti noi e lui sia rimasto da solo di là.
Con il passare delle ore in scia a questa prima ipotesi se ne insinuano molte altre: ci sono i fedelissimi che parlano di un avvicendamento al vertice, e altri che giustificano la sua scomparsa con la necessità impellente di ristabilire a Roma il consueto numero di Papi. Altri ancora, freddi burocrati, preferiscono seguire il solco della tradizione e considerare Andreotti semplicemente estinto per avvenuta prescrizione fino a maggio 2013. Tra tante fantasie, una sola certezza: lui sapeva qualcosa che noi non sappiamo.
Un ulteriore spunto di riflessione ce lo fornisce poi il momento della sua morte: dopo più di mezzo secolo di attività politica, di intrighi e compromessi, il governo di Enrico Letta è stato un colpo durissimo persino per lui. (Altri invece sostengono si tratti della logica conclusione di un piano complicatissimo) 
Quel che è certo, è che Andreotti era da tempo gravemente malato e alla fine ha purtroppo dovuto arrendersi, proprio quando che era quasi riuscito a debellarci. A questo si può di certo aggiungere che Andreotti in fondo non era poi così vecchio: eravamo noi che ce lo portavamo proprio male.

Appresa la notizia della morte di Andreotti, alla Camera dei Deputati si è tenuto in suo ricordo un minuto di silenzio. Ma si vedeva che era un'imitazione.

A poche decine di minuti dalla morte del Senatore, la segretaria, da anni al suo fianco, si affrettava a comunicare che non ci sarebbero state né camera ardente, né funerali di Stato. E di sbrigarsi a chiudere quella cazzo di bara.

Il primo a commentare la notizia è il parlamentare del gruppo misto Pino Pisicchio: "Con lui va via un pezzo della storia democratica". È che proprio non sono riusciti a strappargliela dalle mani.
Nel corso del pomeriggio molti altri si sentiranno in dovere di esprimere un'opinione sul senatore defunto. La maggior parte, per sicurezza, sceglierà quella che avrebbe scelto lui.
Di seguito le parole di esponenti di spicco della politica e della società italiana (e di Alemanno).

Cicchitto (PdL): "Con Giulio Andreotti muore una personalità che nel bene e nel male ha espresso lo spirito più profondo della Dc". Satana.

Bonanni (Cisl): “Andreotti ha rappresentato per tanti anni il nostro paese nel mondo". Ma mai bene come oggi.

Centrella (Ugl): "Con Giulio Andreotti scompare un testimone fondamentale della nostra storia". E non vi dico 'sta volta chi è il mandante.

Alemanno (passante insistente): "Grande spessore umano”. Ma le sembra il momento di sfotterlo per la gobba? (Poco dopo, Brunetta (PdL) rincarerà la dose: "Inchinarsi davanti alla sua memoria". Che cattivo gusto.)

Carpite alcune parole dell'onorevole Gasparri (PdL): "Giulio Andreotti è stato un indiscutibile protagonista della vita politica italiana". Ma pare che stesse soltanto ripassando per l'intervista. Sempre lui in seguito dichiarerà: "Ho condiviso con lui l’appartenenza al Senato, la fede calcistica, il quartiere ed anche la parrocchia di San Giovanni dei Fiorentini per la messa domenicale. Ma non sono mai stato un suo sostenitore". Insomma, non sempre lo stalking è la soluzione.

Storace (La Destra) riporta un ricordo personale risalente ai tempi della presidenza della Regione Lazio, ovvero di quando Andreotti apprezzò il contributo della sua amministrazione alla redazione del piano regolatore della città di Betlemme. Pensate che l'ultima volta il Senatore aveva dovuto accontentarsi di una stalla.

Franceschini (hipster, Pd): "Il tempo e la distanza consentono di valutare le persone con la maggior serenità possibile". Ma è sempre meglio controllare che siano pure morte.

D'Alema (Pd*) è stato sentito mormorare tra sé: "Si è trattato di un leader anche molto discusso nei diversi momenti della sua lunga esperienza politica e per la sua concezione del potere. Tuttavia, non si può negare che egli abbia mantenuto aperto il dialogo anche con forze politiche lontane dal suo pensiero e che abbia contribuito a consolidare il ruolo e la presenza internazionale del nostro Paese, concorrendo così in modo determinante a fare la storia dell’Italia repubblicana". Ma pare che stesse semplicemente annotando il proprio necrologio.

Il ministro dell'Interno Angelino Alfano (PdL) ricorda l'uomo politico abile. No, non direi.

Dopo lo sconcerto, dopo il dolore, dopo il rammarico, una sola cosa resta quindi da chiedersi: ma chi deve morire perché dicano che era uno stronzo?

(Comunque non mi sembra poi così male l'approccio del nuovo ministro della sanità)